Il detective sonnambulo
un estratto dall’ultimo romanzo di Vanni Santoni
Sapevo che la ghenga del Maréchal non mi avrebbe aiutato a lungo a cercarla: si erano solo lasciati coinvolgere da qualcosa che poteva rompere la noia per un po’, poi sarebbero tornati alle proprie appannate routine, ma trovai lo stesso commovente quel loro sparpagliarsi per la città, provarci, ognuno dietro alla propria personale traccia di Johanna, ed erano molte se è vero che partirono tutti in direzioni differenti. Erano le 18.30 e ci demmo appuntamento lì per le 23… Io andai a farmi i locali sul canal Saint-Martin, dov’eravamo stati un paio di volte a bere. Mi ritrovai a guardare con malinconia le coppie al di là dei vetri di Chez Prune, un bar in cui una sera eravamo stati davvero molto simili a una coppia normale, di certo simili a una coppia destinata a durare – e destinata a cambiare la mia vita in qualcosa di bello e sensato, di bello perché sensato…
Com’era ovvio, sul canale non la trovai, e tornai al Maréchal in anticipo, mentre scendeva la sera, passando per diagonali secondarie, in quel momento in cui tutto cambia: le facciate di pietra chiara dei palazzi, gli alberi, le panchine, gli S.D.F. (ovvero i senzatetto) che preparano giacigli di fortuna mentre l’eco della città attorno si smorza… Tutto acquisisce un’esistenza più profonda ed enigmatica, e anche più incerta per via degli esseri solitari che s’incrociano nel buio che monta, e di cui ero nuovamente parte… Al Maréchal era arrivato il Creolo e già partivano le canzoncine: C’est une poupée / qui fait non non non non non non… / toute la journée / elle fait non, non, non, non, non, non…
* * *
La sera successiva il Maréchal pareva già tornato al suo tempo di sempre, cosa che mi avviliva al punto che mi misi a bere il temuto whisky di fascia bassa della vecchia Lily… Erano da poco passate le ventitré e già versavo in condizioni lugubri: Nina era venuta a sedersi accanto a me e mi aveva accarezzato il viso con una faccia del tipo “non prendertela”, e ora avevo la sensazione che solo quel gesto mi avesse trattenuto dall’andare a buttarmi nella Senna… In quella, arrivò Eun-Woo e mentre Lily le versava il suo solito bianchetto, buttò là, senza manco guardarmi, che forse aveva visto Johanna. Scattai su dallo sgabello, quasi caddi, mi appoggiai alla sua spalla stecca e per poco non feci cadere pure lei:
– COME, DOVE?
– Calma. Ho detto che forse l’ho vista. Non ne sono sicura.
– DOVE?!
– Ouf… Nel sesto.
– Il sesto? Che cazzo è il sesto?
– Il sesto arrondissement, – disse la vecchia Lily.
– Saint-Germain-des-Prés, – disse Nina, e mi afferrò per la manica, come a invitarmi a tornare a sedere.
– Hai trovato un fidanzato ricco, finalmente? – ghignò il Creolo a Eun-Woo.
– Magari! Era solo l’inaugurazione di un pop-up store negli spazi di una galleria.
– Carino? – chiese Max.
Il fatto che si fossero messi a parlare tra loro mi diede sul nervo dell’ubriaco:
– Ti ho chiesto dove!
– E stai calmo. Se fai così non ti dico nulla, – sorrise Eun-Woo, e si mise a sedere sulle ginocchia del Creolo.
– Dai, ti prego, – dissi, quasi frignai. Ci mancava solo di mettersi a frignare…
– Senti, Martino, – disse Eun-Woo alzandosi (con disappunto del Creolo), – devo chiederti scusa, non avevo capito che c’eri rimasto così sotto. Tutto quel che è accaduto è che, uscendo dall’inaugurazione, ho sentito della musica, ho alzato gli occhi e ho intravisto delle persone sull’attico di un palazzo, e una di quelle persone…
– Sì?!
– … Aveva i capelli di Johanna. Ma magari aveva solo lo stesso colore.
– Nessuno ha lo stesso colore di capelli di Johanna.
– Seh, certo… Pensi che i miei siano blu per natura?
Non le risposi perché ero già uscito. Poi mi resi conto che non sapevo dove andare. Tornai dentro. Eun-Woo stava ridendo (di me? sicuro) con Nina.
– Dov’è quel palazzo?
– Ma non lo so… Senti, la galleria sta al 56 di rue Jacob, quello era poco più in là, quasi all’angolo…
Bevvi un altro whiskino e uscii di nuovo. Non c’era più la metro. Giorno feriale, già. Avrei dovuto prendere un taxi, un Uber, ma con quel che costavano… Bus, dunque.
* * *
Errore prendere il bus, errore. C’erano dei blocchi stradali sul lungosenna, i manifestanti avevano acceso dei fuochi con bancali e spazzatura, e si sentivano sirene tutto attorno… Qua e là si scorgevano gruppetti che scappavano o si riformavano, sbirri che mollavano legnate… Finì che raggiunsi la rive gauche dopo quasi cinquanta minuti, e c’era pure da camminare… Eccomi in rue Jacob, quale angolo intendeva quella stronza? Aveva detto dopo il 56? Sì, ok, c’è scritto “Galerie”, eccomi lì che faccio su e giù attorno al 56, col capo rivolto al cielo, nella speranza di acciuffare una voce, un suono, un’idea di musica, avranno già finito? Questo dà l’idea di un quartiere dove si va a letto presto… Poi, ding, un suono, un battito electro-pop…
Là, sull’attico. La musica non è troppo alta, si percepisce un brusio di fondo, qualche risata… La gente chiacchiera più che ballare, alla ringhiera stanno appoggiati due uomini di una certa età, in completo… Passa una ragazza, si intravvede appena, ma certo il caschetto biondo la qualifica come non-Johanna… Che Eun-Woo mi abbia mandato qua per scherzo? No, per quanto stronza non è il tipo da fare scherzi del genere… Che faccio, entro? Resto ancora un po’ lì, e a un certo punto sorge il sole nel mio petto al captare uno sbuffo di capelli rossi e lievemente ricci seguito da un altro sbuffo, ma di fumo, la mente che completa il quadro di una Johanna in abito da sera e tacchi (lo sbuffo rosso era molto alto, più alto delle teste di quei due vecchi che mi bloccavano la visuale), che è uscita a fumare… Urlo: Johanna! Ma è troppo alto e nessuno mi sente, a parte una passante che mi guarda come si guardano gli S.D.F. ormai impazziti, e vabbè, l’unica è salire, le porte qua hanno il codice ma alle feste in casa è normale anche suonare e salire, no? Metti che uno lo abbia dimenticato… Mi metto a suonare a raffica il campanello più alto, DE TRÉMOILLE , aprite maledetti, ma niente oh. E io continuo, tiè. Continuo e continuo e conti… Oh, ecco. La porta scatta. Entro, chiamo l’ascensore, buon dio che aspetto stravolto, ho corso troppo, mi rassetto allo specchio ma non posso neanche aspettare, tanto ci sarà un bagno dentro casa… Premo il 6, e avanti.
Il portone è socchiuso, vado tranquillo, lo spingo tranquillo, ecco mi sono tranquillizzato, penso, adesso becco Johanna e…
– Buonasera, – mi dice un elegantone, pure più alto di me e largo il doppio, che si mette proprio in mezzo, – e voi siete…?
– Uh… Piacere, Martino. Johanna è dentro?
– Johanna? Per caso non siete invitato, o mi sto sbagliando?
– Johanna! – grido io, così, a caso, verso l’interno della casa.
– Signore, devo cortesemente chiedervi di sparire.
– Lasciami entrare, pezzo di merda, – dico, e lo spingo mentre già alcuni ospiti vengono a vedere chi sta facendo casino all’ingresso, e faccio in tempo, spingendolo con tutte le mie forze, faccio in tempo a entrare e sbirciare il salotto, e dal finestrone che lo collega con la terrazza ecco che rientra una donna rossa sui quarant’anni con una collana di brillanti al collo, eccola che spegne una slim in un posacenere di porcellana a forma di testa di Giano, e non è certamente Johanna, ha gli stessi ricci di Johanna e quasi lo stesso colore, ma non è Johanna; poi un vecchio in gessato e cache-col e occhiali con la montatura d’oro mi molla un pugno in faccia, non fortissimo ma tirato con tutti i crismi, un diretto da boxeur, e prima che vada giù direttamente lì nell’ingresso, l’elegantone di prima fa in tempo ad acciuffarmi al volo per il colletto e sbattermi fuori e chiudermi dietro il portone, e col culo sul vasto zerbino del pianerottolo e il sangue che mi gocciola da una narice penso, sì, penso che sia meglio sparire, da un lato l’adrenalina mi ha svegliato, dall’altro la botta mi impedisce ancora di ritrovare bene l’equilibrio, putain…