un racconto di Andrea Lucatelli

 

Se la via Emilia fosse una srotolata di plexiglass, oltre che fare delle gran scivolate per arrivare al mare d’estate – da San Donato milanese il 3 luglio mattina scendi, già in costume, bimbi secchielli moglie e Piz Buin e via giù fino a Rimini – così, se la via Emilia fosse questa srotolata di plexiglass, oltre alla mobilità in scivolata, si potrebbero fotografare meglio le città, gli edifici, chiese e capannoni.

La via Emilia o SS9 sarebbe un set di still life a cielo aperto, con quel senso di assoluto dei cataloghi di orologi, di unico dei bicchieri, di tempra dei cavatappi satinati. Perché il problema con le foto still life è l’ombra del fotografo, il riflesso del fotografo nell’oggetto fotografato. Ingrandisci la foto del bicchiere e zac ci vedi il fotografo e tanto di cavalletto, allora spiegazzi un po’ di domopak in cerca di punti luce e via che scatti di nuovo; ingrandisci la foto dell’orologio e stavolta te la cavi, tirando via il vetro; ingrandisci l’occhio della modella e zac, la fai solo girare a torciglione, stavolta.

Se la via Emilia fosse questa gran srotolata di plexiglass, il 3 luglio mattina non solo la famiglia di San Donato milanese scivolerebbe in ciabatte, anche le famiglie di Pontenure, e quelle di Parma, sempre che non decidano di cascare a Pontremoli o lì vicino, e quelle di Masone e Rubiera, tutta la provincia di Reggio e Modena fino a Bologna, dove intere famiglie di tedeschi sbarcati all’aeroporto cominciano a scivolare in Birkenstock e Mephisto verso la riviera, dove russi già scalzi scivolano da prima, essendo atterrati da un po’ all’aeroporto di Rimini.

Questa estate di scivolamento a nastro lungo la via Emilia sarebbe un film a cielo aperto, con pieni di luce su case, condomini, piazze col municipio e il duomo a fianco, centri commerciali, e officine meccaniche, scivolare ancora vedendo cartelloni gialli e rossi sbiaditi per metri e metri, cartelloni in un prato vuoto con su scritto vivai, cartelloni vicino fienili smangiati con su scritto affittasi spazio pubblicitario, capannoni industriali, e ancora container con su scritto Zeng Liu, e chiese isolate nei prati dalle facciate rosso mattone. Sarebbe un film che parte con gli alberi di gelso, alberi tozzi con dita sottili piazzate allo sbaraglio su mani gonfie, poi i pioppi fermi a squadriglia sulla terra umida ad aspettare un giro di vento che colori il verde in argento, come se i pioppi fossero ragionieri intenti a una contabilità alchemica. Gli scivolanti vedrebbero poi campi gialli di colza, e sparuti papaveri rossi in questa furia gialla, e vedrebbero campi arati con le rotoballe come tanti concentrati di sole, a meditare sulla sessualità dei campi, fino a quelli di nettarine e i pini marittimi, che come notai in tweed e collo verde rogitano la presenza del mare.

Sarebbe un film d’azione come Fast and Furious ma in infradito e piedi scalzi, sarebbe un film romantico, con tutte quelle coppie che scivolando scivolando, si tengono per mano facendo progetti per il futuro, sarebbe anche una commedia, con quelli nevrotici che parlano e parlano e parlano e parlando si trovano in un gruppo di giapponesi, sarebbe tanti film, come i porno o le tragedie, come i musical o i Lars von Trier, sarebbe tanti film come le vite di tutti, quindi non sarebbe un film di fantascienza o di fantasmi, sebbene con qualche sforzo e coordinando un paio di sagre e fiere lungo la via Emilia ci salterebbe fuori anche un film di fantascienza con gli zombi, un po’ come nelle vite di tutti, che un venti minuti di zombi alieni ci si sente, quando hai dei fantasmi addosso, nelle gambe e nelle orecchie.

Lo scivolamento a nastro lungo la via Emilia distoglierebbe lo sguardo dal riflesso del fotografo, come nessuno si accorge di Hitchcock che passa panzone nei suoi film, così, con lo scivolamento a nastro, sarebbe difficile vedere la sua ombra sotto un portico o in una pozzanghera.
Non ci sarebbe da fare del gran lavoro di scontorno immagine, il lavoro di post produzione più noioso nel mondo fotografico, il primo scatto già andrebbe bene per un catalogo, o uno di quei libri che si tengo in salotto vicino le conchiglie.

Allora perché non si fa? Perché non si può mettere tutto un film fotografico della via Emilia in un libro in salotto vicino le conchiglie? Perché non si scivola?

Il fatto che l’estate duri mediamente due settimane e mezza, e il resto dell’anno sia un autunno primavera perenne c’entra poco; il fatto che gli alberi son distratti, mezzo in fiore e mezzo secchi, le persone son vestite a cipolla e le rotoballe sono incelofanate, vicino i guardrail ci sono gli aironi e in città volano gabbiani e pappagalli verdi è già una bella foto alla David Lynch o un bel collage di Maya Mitten, dove ragazzi in costume da bagno si tuffano in un cielo pieno di cactus e aeroplani. E poi con un autunno primavera perenne si scivola meglio che scivolare con gli infradito sudati, in autunno si scivola sicuri, in pantofole e calzini.

Il problema della mancata srotolata del plexiglass sono le rotonde lungo la via Emilia.
La via Emilia è piena di rotonde, ormai la via Emilia è uno scalare le marce per godere di una propulsione centrifuga di marcia, come se centrifugarsi ci accelerasse, invece che rallentarci.
Un’azienda di corrieri americani ha studiato dei percorsi per i propri trasportatori che devono sempre girare a destra, per non perdere tempo girando a sinistra negli incroci. In questa velocità percepita i corrieri americani fanno i corrieri americani che non rallentano mai, almeno sui fogli di calcolo. Anche noi con le rotonde andiamo avanti di velocità percepita, tutti presi per uguale possibilità di marcia.
E che le rotonde siano illusioni di marcia lo dimostra la cura che le amministrazioni mettono per farle apparire zone di intrattenimento. Lungo la via Emilia sulle rotonde c’è di tutto, sembrano isole immaginarie, ci sono vigne con tanto di filari, ci sono giardini, ci sono spuncioni arancioni, ci sono casette da boscaioli, ci sono orci e vasi, forme astratte e forme di parmigiano, e aerei, c’è anche un grappolo enorme di vetro viola. Ad esempio, prima del ponte per arrivare a Bologna c’è una statua enorme di un uomo che porta sulla schiena un camion, l’uomo e il camion son fatti di lattine, delle stesse lattine.
Come si fa a stendere una srotolata di plexiglass su un uomo enorme fatto di lattine.

Bisognerebbe fare un taglio esatto per inserire l’isola col colosso di latta, e ogni rotonda porterebbe via tempo nella stesa del plexiglass, a forza di misure e tagli esatti, oltre al pericolo di incorrere col tempo in fissurazioni del plexiglass dovute ai tagli. È da escludersi un impegno industriale e amministrativo che investa denaro pubblico e privato in un rotolone pressofuso di chilometri di plexiglass con già le distanze e i fori per le rotonde. E non si discute nemmeno dell’impiego di una mastodontica stampante in 3D.

Si continua a investire pochi spiccioli in gestibili aree di intrattenimento. Uno spuncione arancione o un colosso di latta lo vedi subito, e vai di svincolo.
Un paio di volte mi è capitato di girare e girare attorno a una rotonda, senza svicolare via subito. Una volta su un muretto all’interno della rotonda c’era scritto: Edificio è volontà pericolante, al terzo o quarto giro sono riuscito a leggere bene questa frase. Un’altra volta ho dovuto accostare, attraversare la strada e leggere su un piedistallo di cemento che teneva su una fioriera vuota in mezzo alla rotonda: Per cambiare le cose da così a così ci vorrebbero 10 buddisti cazzuti, non quelli che continuano a illuminarsi.

Allora, illusione per illusione, mi son pensato lì in mezzo alla rotonda, illusione per illusione contro tutte le agenzie alla mobilità, gli assessorati alle strade e alla marcia, quando si arriva a una rotonda si può immaginare al posto del colosso di latta e al posto della vigna e al posto di tutto l’intrattenimento da rotonda, si può immaginare un derviscio, uno con un cono per cappello e una gonna enorme, che gira su se stesso in mezzo a tanti che girano come lui; un mendicante che per pregare deve mettersi in asse con l’universo. Almeno se arrivano gli alieni non vedranno solo un enorme flipper di rotonde e macchinine. Vedranno una danza sacra di propulsione individuale.