di Irene Tassone

 

Non pensavo il mio lettore potesse esistere, come dimenticandomi di avere occhi per tutto o per qualcosa ero nata, la scrittura segreta custodita gelosamente, antidoto per le mie sole labbra, per insicurezza, per tremore. Ma se non ti si apre il cuore, se non si apre la carne, se non hai deciso quei tre passi per aprire le danze, allora se inizi questi balli, con la stoffa che gira come carta, il nero degli occhi, le lettere che si scontrano, allora ecco il mio lettore, con il petto aperto e lo sguardo di neonato, condivide con quello che sussurro la gioia di posarci sopra la prima volta gli occhi, indifeso e umile verso tutto quello che lo circonda, che può essere pieno d’amore, che può essere pieno d’amore. E se è amore troppo forte, di quelli che trascinano nell’assurda bellezza dell’abisso, condivide con me, il lettore, la catastrofe delle cose che rendono vero il noi e non l’altro. Ti spio, così bello quando leggi, come se ti fossi dimenticato di tutte le armi e strutture, come se verità fosse primo pianto e ultimo sorriso, mentre posi i tuoi occhi sulla carta e dalle mie lettere vorrei dire d’amarti, mentre ti spio concedermi una lacrima, come se il nostro spazio fosse della stessa gioia di essere insieme osservatori e creati. Tu mi segui e corri verso le mie parole che dicono: Vengo da quel mondo dove sole e pioggia battono sempre insieme ululano strisciano rantolano e dove pesci d’oro luccicano in cielo e stelle brillano in mare, come mi sussurrava mia nonna quando ero piccola. Tra le tue braccia per riuscire a capire cosa fosse una madre, una madre e sono un bambino d’improvviso che apre lo sguardo. Vengo da molto lontano, come se fosse una bocca aperta, un vortice nero, una voragine guardami dentro sospira sussurra, mi guarda dentro urla e scalpita. Vengo dal mondo dove nascono tutte le madri, le parole lo spazio bianco, un bianco candido come quella piccola casa in riva al mare più blu che possa esistere, con le finestre spalancate per non dimenticarsi il cielo, la porta aperta per lo sguardo di un altro, il letto per i sogni timidi che riportano alla verità bambina. Vengo dalla terra dei sogni, che a volte chiedo dove siete nati sogni? Se notte e luna mi potessero concedere quel segreto allora finalmente potrei dirmi abitante di una casa, ma non so la terra da cui nascono i sogni e questa parola che sembra arrivare da tanto lontano come la prima pioggia d’estate il temporale e una violenza di petali rossi, vengo dalla terra piena di papaveri dove i sogni sono anche illusioni dove i tremori sono candidi sbagli dove il blu non appartiene solo al mare ma anche alla pelle. Vengo dalla terra ancora bambina perché bambina non lo sono mai stata e ora mi scopro con occhi nuovi lo stupore di uno sguardo che non ha ancora imparato, come la madre che lascia cadere il suo latte per le stelle ancora non nate. Sono bambina e vengo dalla terra dei bambini, i bambini più adulti che possano esistere, come cigni, alcuni neri, altri rossi, altri ancora trasparenti, vengo dalla terra dei bambini adulti dove non c’è violenza, ma solo amore, cos’è allora quel sogno che torna sempre di quell’onda che mi travolge spezzandomi il corpo, come la burrasca? Una nave in mezzo al mare i miei pensieri e la mia terra come un porto mai arrivato, un pescatore che pesca stelle, tu che mi hai ucciso quando hai deciso di mettere il coltello sulla carne dell’altro. Sono nella terra degli assassini quella che non avrei mai voluto conoscere ma che ho conosciuto, nella terra della rabbia nella terra dell’odio, sono nella terra dell’odio e non ho ancora imparato a posare la mia bocca su quella dell’altro ma quando scopro che esiste una terra dove i petali dei papaveri vagano come pioggia ecco è quella la terra da cui nasco, un seme uno spirito la prima nuvola bianca, la goccia che cade il sorriso la carezza alla persona amata la terra da cui vengo ha alberi pieni di frutti e la pioggia non cessa mai di battere ma è una pioggia allegra che condivide il sole se non fossero foglie a volte petali se non fossero stati schiaffi, con tale forza ho potuto credere all’amore. Vengo dalla terra degli incubi dove tutto è orrore dove l’abisso è fragile e la crudeltà è forza; ho imparato ad amare il suicidio che custodisco nel petto, come diventato mio amante, ora vaga insieme a me nell’ora di luce portandosi addosso tutto il buio di una notte senza stelle. C’è una verità nella terra da cui vengo che non ho ancora saputo spiegare che mi ha fatto impazzire, c’è una verità nella crudeltà che uccide ogni mio desiderio di essere accarezzata, come se fosse giusto che tutto fosse stupro, come se tutto quello che mi fa lacrimare avesse il diritto di essere fragile. Nella terra in cui vengo i pesci luccicano nel cielo, sono pesci argentati, dorati di tutti colori e nuotano nell’aria, nella terra in cui vengo le stelle soffocano in mare brillano lasciando solo una apparenza di scia di direzione al marinaio perduto. Nella terra da cui vengo sono scivolate meduse è scivolato latte e miele nella terra in cui vengo esiste solo un arcobaleno un sorriso una luce che ancora è nascosta e non riesco a trovare. Ero in braccio a mia nonna, nella terra in cui vengo, nella terra in cui vengo ci sono le madri e tremo perché nella terra in cui vengo ognuno ha qualcuno da non abbandonare e tremo perché dalla terra in cui vengo non so come andare e trovare che quando due terre si incontrano come potrebbe essere? È esplosione perché dalla terra in cui vengo si può tremare.