una Pillola da bar di Roberta Raeli

 

L’estate porta con sé giornate lunghissime, calde, talvolta infinitamente bollenti.

Lavorare e avere un aspetto decoroso, con trenta e più gradi all’ombra, è una delle sfide più complicate.
Non hanno ancora inventato l’aria condizionata portatile, o nuove divise fresche e leggerissime, o ancora meglio un orario lavorativo, che contempli le temperature, o addirittura una clientela comprensiva e paziente a prescindere.
Il servizio nelle ore di punta, cioè quelle con il sole a picco, è davvero difficile. Per quanto ci si rinfreschi prima di iniziare, si cerchi di avere una pettinatura e un abbigliamento consono al ruolo e al caldo, i risultati sono spesso deludenti. L’agitazione e la consapevolezza di non essere proprio sul pezzo, a livello di competenze tecniche, fa poi il resto.

Lo sfacelo.

Invidio benevolmente i colleghi e le colleghe che riescono ad essere magnifici e inappuntabili dopo otto ore di servizio. Non so davvero come facciano. Ad avere il portamento di chi non soffre mai, neanche con quarantacinque piatti caldi in mano, senza far trasparire in nessun modo il dolore della pelle che si ustiona nel tragitto. O i crampi e le tendiniti che urlano fetenti. O le scarpe che si surriscaldano dopo due secondi e mezzo dall’inizio delle attività.

Il momento più duro, oltre al solleone, è la fine della giornata. Cioè la fine del turno corrispondente alla chiusura del locale. Soprattutto quando per cena prenotano i grupponi vacanze, li chiamo io, cioè quelle compagnie di quindici, venti o più, che arrivano in ritardo, rispetto all’orario stabilito e non leverebbero mai le tende. Sono simpatici, affabili, rilassati, pazienti. Ma non vanno mai via. Appunto.

Solitamente prenotano le tavolate fuori. Quelle più lontane dalla cucina e dal banco. Così da permettermi di raggiungere agevolmente il primato dei chilometri giornalieri percorsi. Perché c’è chi si ferma tutta la giornata dietro al bancone, vedi colleghi poco volenterosi o semplicemente più sgamati. C’è chi invece, sempre per la legge di Murphy e per la sfiga di essere arrivata da poco, fa tutto contemporaneamente. Ne consegue che la pulizia e il riordino di tutti i tavoli esterni, soprattutto quelli più lontani, tocchi, neanche a farlo apposta, a me. Quando lavoravo in ufficio mi trovavo spesso a fare i lavori più noiosi al pc, anche oltre l’orario contemplato. Devo avere qualcosa addosso, tipo un segno di riconoscimento, chessò, che fa sì che gli altri, colleghi e responsabili, vedano in me una propensione al sacrificio e al lavoro duro. In ufficio però almeno non si suda. E non si consumano nemmeno suole e articolazioni. Al bar sì. E poi i colleghi, prevalentemente uomini a quest’ora, sono tutti presi dall’estasi delle degustazioni ad amici e parenti e non vedono certo come priorità il dover muovere il didietro per aiutarmi. Comunque sia, cerco di organizzarmi. Per portarmi avanti, in attesa che tutti alzino il loro deretano dorato dalle sedie, permettendomi il salutare riposo notturno, inizio a sistemare tutt’intorno.

Pulisco i tavoli, chiudo i gazebo, abbasso le luci. Per evidenziare il fatto che siamo in chiusura, semmai non fosse ancora sufficientemente chiaro.

Svuoto i cestini, elimino i mozziconi dai posacenere, ripongo i giochi dei bambini al loro posto, talvolta con i bambini ancora sopra. Un eccesso di zelo atto a dimostrare e rimarcare il fatto che sì, siamo proprio in chiusura. Ma a loro, i simpaticoni del gruppo vacanze, importa poco.
Loro in vacanza lo sono davvero probabilmente. In vacanza per due o tre settimane, a seconda del benefit aziendale e del livello di importanza.
Loro non possono capire la stanchezza di una fine giornata estiva, con le ore infinitamente bollenti e affollate.
Loro al più possono arrivare a comprendere la stanchezza rappresentata dall’ottava ora di lavoro, davanti ad un pc, immersi nell’aria condizionata di un ufficio, con una o due persone, con cui condividono l’ambiente.
Mi rendo conto di essere semplicemente esaurita. E che è capitato spesso e capita tuttora anche a me di fare tardi a locali. Ma da quando ci lavoro riesco a capire tante cose in più. E che quando lavoravo in ufficio pure io avevo molti benefit, pur’io avevo vacanze tutteattaccate.
E pensavo anche che non fosse comunque abbastanza. Perchè mai accontentarsi? Di fatto come dice qualcuno: “Non ho mai visto nessuno godere mentre si accontenta”, parafrasando il famoso proverbio.

Bisognerebbe far buon uso del magico potere del punto di vista. Che manca a chi non vive abbastanza esperienze. A chi non vive situazioni differenti.
Sì, quel punto di vista esterno essenziale a capire la vita degli altri, a mettersi nelle scarpe altrui.
Perché è vero che se non lo si è mai vissuto non lo si può capire. Ma ci si può esercitare a provarci.
Perché è vero che certi atteggiamenti danno fastidio. Ma rendersi conto che anche tu hai fatto le stesse cose aiuta. Non aiuta certo la barista esaurita ad andare a casa meno stanca. Per quello ci vorrebbe la bacchetta magica, o dieci anni di meno o qualche collega benevolo. Ma sicuramente asseconda il suo andare a casa più pacifica, perché consapevole che nella vita la ruota gira, le scelte sono necessarie, e lavorare dietro un bancone è comunque bellissimo. Soprattutto quando arriva Franco ad aiutarti. Il buon vecchio gentile e insostituibile Franco. “Grazie caro, sei prezioso!” gli sussurro in un orecchio, perché so che non gli piacciono i convenevoli. “A prestissimo” mi risponde lui con un occhiolino sagace, sparendo nel buio di una notte che sarà senz’altro buona. Nonostante il caldo, la fatica accumulata e i gruppi vacanze.

Che poi sono simpaticissimi. Anche se non vanno mai via. Buon riposo e alla prossima comanda!