L’indispensabile
Una pillola da bar di Roberta Raeli

Sono passati buoni buoni un paio di mesi e di stagioni.
Mi sono successe un sacco di avventure, molto di particolare. Le esperienze da dietro il bancone amplificano le vibrazioni e i rintocchi del tempo, toccano le corde del cuore. O sarà solo la stanchezza, che mi fa fischiare le orecchie e pulsare il petto? Il mio fisico si è ormai calibrato sui ritmi del bar. Appena arrivata, alla mattina presto, ci sono già diverse persone che aspettano un caffè o una brioche. Aspettano fuori, fumandosi la prima profonda sigaretta del mattino. O tutti arruffati escono dall’auto parcheggiata alla pressapoco e si accomodano cercando di riordinarsi. Oppure chiassosi e vivaci in compagnia dell’amico, che non vedono da tempo, incontrato per caso.
“Ehilà vecio. ’Na vita che non te cato!“
Soprattutto aspettano un sorriso. O una parola di conforto e di coccola per affrontare la giornata, che sia lavorativa o no. “Come s’è Franco, tuto ben ancùo?“
“Eh ‘nsomma, saria stato sotto el piumin ’n’altro tocco!“
Frasi leggere, che parlano del tempo, i figli, il lavoro, la partita della sera prima. Ordinarie constatazioni sulla vita, che scorrono a fiumi così come il caffè che, macina dopo macina, diventa insostituibile. Ma anche confidenze sussurrate. Perché agli estranei si raccontano segreti, che non sveleresti a nessuno.
“Signorina, la me perdona. Gavaria bisogno di un cicinin de aqua perché go’ da prendar la pasticchetta. El dottor me ga dito de riguardarme”
“Eccomi signora Ada, nessun disturbo, pronta qui tutta per lei! Dopo la me conta.“
Si intrecciano le storie, le vite, le mani e anche i pensieri. Dei clienti, i cui chiacchiericci volano nell’aria come le bolle della schiuma malfatta. Che bisogna sbatterla per benino, altrimenti le bolle non vanno via, come insegna il mio prezioso compagno di lavoro.
Dei colleghi che si organizzano le comande, tra fogli e foglietti, rigorosamente in ordine di arrivo e forse, a volte, di importanza. Della mattina che pian piano si mette in movimento, e con lei la vita.
Perché se dovessi scegliere cosa serve prima o cosa servire dopo, di sicuro accontenterei subito le machiavelliche richieste, viziate da panna e cacao, e poi via via la semplicità. Prima il dovere poi il piacere, mi ripeteva sempre nonno Salvatore. Perché sono una persona pigra, fondamentalmente. E mi obbligo spesso a togliermi dalle scatole, subito, le difficoltà. E poi tutto il resto. E qui di scatole ce ne sono davvero un’infinità.
Però bisogna avere un occhio per tutti, e osservare bene la situazione da più punti di vista. A rischio strabismo, proprio. Che la sala sia in ordine, che i clienti siano comodi, che piattini, tazze e cucchiaini siano pronti, che i vassoi siano sgombri. Pensando con una delle parti del cervello rimasta libera, si fa per dire, a come preparare i tramezzini e i cicchetti del pranzo, a tagliare il pane appena sfornato e a liberare dai miliardi di briciole il bancone, che sia o diventi splendido splendente. A mò di Dea Kali.
I primi ordini sono sonnolenti e lenti, come se uscissero direttamente dalla camera da letto, facendo eco. Tanto che a volte devi chiedere due volte perché proprio la voce non arriva. Tant’è che spesso mi domando se non sia io diventata ipoudente, tutto ad un tratto.
A poco a poco, passata la prima ondata di caffè al volo, dell’anziano che si sveglia presto, del camionista che di passaggio vuole scaldarsi un po’, dell’impiegato del piano di sopra che, sempre gentile, ma di corsa, fa capolino nel suo completo in fresco di lana, color foglie secche.
Poco dopo arrivano le compagnie in festa, di chi va a lavorare un po’ più tardi, e lo senti subito dal tono di voce, dai volumi diversi e dagli occhietti un po’ meno assonnati. Arrivano a gruppi, tra colleghi, amiche, pensionati e mamme con bimbini. Questi ultimi che spotacciano con tutto e tutti, lasciando manine appiccicose di ogni genere alimentare qui e là, vetri compresi. Ed è in quel momento che senti la sveglia delle cinque sortire i primi effetti. Tieni botta e vai avanti. Maneggiando con cura palmare e bicchieri colmi di latte macchiato, confidenze e sbuffi, gesti veloci, voci e tutto lo scibile umano del mondo della caffetteria. Che chi va a lavorare in Australia non ci va mica solo perché si guadagna di più. Ci va perché fa prima a fare il viaggio andata e ritorno che a elencare tutte le varietà di richieste che, ogni giorno, escono disperate e vorticose dalla cassa.
E così facendo arriva, in men che non si dica, l’ora dell’ape o dello sprissetto di mezzodì.
Ed io che volevo raccontarvi un po’ di chicche.
“Massa robe“, conclude il mio amico Gino.

Che aperitivo sia, allora, alla prossima comanda!